Industrial Iot, Industria 4.0, servitizzazione. Quale futuro per le Pmi manifatturiere? Ne parliamo con Massimo Vacchini, direttore storico di Aidam, l’associazione che rappresenta il mondo della meccatronica italiano e che festeggia quest’anno il suo ventennale.
Con oltre 70 associati, per un totale di oltre 2000 addetti e un fatturato di 600 milioni di euro, Aidam (Associazione Italiana di Automazione Meccatronica) è il punto di riferimento delle realtà aziendali che gravitano attorno alla disciplina della meccatronica: dai costruttori di impianti di automazione chiavi in mano ai distributori di sistemi e componenti, passando per la robotica e i sistemi di visione. L’associazione ha quest’anno deciso di sponsorizzare Ibe 2019, il tradizionale evento di Pentaconsulting dedicato all’innovazione d’azienda. Il tema all’ordine del giorno della sesta edizione è l’Outcome Economy, l’emergente mercato basato su logiche “product based service” che deriva dall’affermazione dell’Industrial Iot e dell’Industria 4.0. Una tendenza che in maniera molto pervasiva si sta diffondendo in ogni contesto. Per capire come si sta muovendo un gruppo di aziende con soluzioni e prodotti riconosciuti in tutto il mondo abbiamo incontrato Massimo Vacchini, storico direttore dell’associazione, al quale abbiamo posto una serie di domande per comprendere come si sta muovendo l’associazione e quali siano i temi di interesse. Un colloquio -intervista estramente cordiale in cui il Direttore ha dato prova di essere sul pezzo e di conoscere i temi da affrontare.
Siamo nell’era di Industria 4.0 e alle aziende si impongono cambiamenti in termini di innovazione prodotto, di efficienza di processo e, non ultimo, di modelli di business. Lei cosa ne pensa?
Tutto vero, ma attenzione, mai commettere l’errore di pensare che Industria 4.0 sia sinonimo di tecnologia. La si deve intendere come un’occasione per pensare l’azienda in modo diverso con l’obiettivo di creare un ambiente più efficiente, produttivo e competitivo. Non esiste “la soluzione Industria 4.0”, esiste la possibilità di creare un’azienda con capacità di gestione real time in grado di assicurare pieno controllo dei processi attraverso un uso intelligente dei dati, creando al tempo stesso i presupposti per nuovi modelli di business. Un obiettivo che presuppone una digitalizzazione sempre più spinta dei processi poiché il fine ultimo è avere un ecosistema fortemente integrato dove i dati diventano informazioni utili al miglioramento delle performance globali.
Ritiene quindi limitativo associare Industria 4.0 alla sola tecnologia?
La tecnologia è lo strumento, ma per coronare con successo un percorso di digitalizzazione è indispensabile definire obiettivi d’impresa strategici di lungo periodo poiché Industria 4.0 implica un cambiamento a tutti i livelli, che coinvolge l’organizzazione nel suo insieme, dai manager ai dipendenti. Ecco perché credo che il maggior limite per tutte le imprese che guardano alla trasformazione digitale non sia tanto rappresentato dalla tecnologia, quanto dalla capacità di introdurre una nuova cultura d’impresa. Industria 4.0 non è un’utopia, è un intervento multifunzione e multi direzionale che deve contribuire all’incremento della capacità delle aziende di creare di valore.
Da prodotto a servizio. Crede che la nuova prospettiva di mercato possa essere questa?
Per le Pmi lo vedo un passaggio molto complesso. Per ragioni di dimensioni, per la mentalità degli imprenditori, che in gran parte rappresentano micro-imprese o, per rendere meglio l’idea, una sorta di artigianato evoluto. In linea generale credo che avranno successo quelle aziende che riusciranno a fornire prodotti sempre più personalizzati, quelle che riusciranno a interpretare e anticipare le esigenze degli utenti. Chi invece continuerà ad avere prodotti per un mercato di massa avrà vita sempre più difficile poiché subirà la concorrenza dei paesi dove esiste un basso costo del lavoro e valori produttivi che possono fare leva su una grande scala. Oggi l’Asia, domani, e in prospettiva, l’Africa.
Quali le possibili risposte e soluzioni?
Il nostro settore continuerà a crescere ma si assisterà inevitabilmente a una riduzione del numero di aziende poiché sarà indispensabile ragionare per aggregazioni. Chi persegue il mito del “piccolo è bello” avrà vita difficile. Serve essere parte di un gruppo composito di aziende che sappia immaginare un futuro dove possano emergere le singole eccellenze. E’ questo il segreto per creare valore in un mercato ormai globale che necessita di innovazione di prodotto ed economia di scala. E’ un tema che per noi – come Associazione – rappresenta una vera sfida sulla quale, nonostante qualche iniziativa non andata in porto, continueremo a perseguire. Siamo infatti fermamente convinti che la sostenibilità la si possa affrontare solo con una potenza di fuoco non riscontrabile nelle singole aziende.
Nel senso che ci avete provato e non ci siete riusciti?
Esatto. Ci abbiamo provato nel 2007. Il progetto prevedeva l’aggregazione di 10 diverse realtà. Le premesse erano ottime. Ciascuna aveva una sua specifica identità e poteva contribuire alla massimizzazione di un valore aggiunto. Il tutto avrebbe portare alla creazione di un gruppo di 350 dipendenti, 8 sedi in Italia 2 all’estero e un fatturato di circa 100 milioni di euro. Purtroppo hanno prevalso altri interessi. Risultato? Alcune di quelle aziende non operano più sul mercato. Le più fortunate hanno poi deciso di fare un mini gruppo. Per usare una metafora, abbiamo tanti orti, tutti di ottima qualità, se li mettiamo insieme potremmo farne un campo dove far germogliare nuove e solide colture industriali.
In quale modo il Made in Italy può continuare a distinguersi senza perdere terreno sullo scenario internazionale?
Ci sono settori, tipicamente l’aerospace e l’automotive, dove continuerà a prevalere una domanda di componenti di alta qualità. Motivo per il quale chi lavora in queste filiere può stare relativamente tranquillo: nonostante le difficoltà legate alle grandi trasformazioni strutturali, questi settori, sono sostanzialmente immuni dalla concorrenza asiatica. L’industria manifatturiera italiana sta in piedi per capacità, flessibilità e conoscenza applicata alla tecnologia. Sono i valori del Made in Italy e della nostra indubbia predisposizione al problem solving. Ma non è più sufficiente. Serve aggregazione d’impresa cha sappia innescare economie di scala e condivisione conoscenze. Dobbiamo riuscire a mettere insieme realtà che possano esprimere fatturati dell’ordine dei 50 milioni di euro e 50 addetti. Il futuro è questo.
Si può immaginare in un futuro ormai prossimo l’affermazione del prodotto inteso come servizio?
E’ un fenomeno che sta già emergendo e che in prospettiva potrebbe cambiare in profondità quelli che sono stati i fondamentali del manifatturiero. Per cui, certo, ci saranno aziende che inizieranno a proporre le macchine a noleggio. Non solo, si potrebbe avverare un’ipotesi ancora più estrema, quella della fabbrica a noleggio. Nel caso, significa che l’imprenditore è responsabile dell’ideazione del manufatto mentre la produzione è a carico di terzi. D’altra parte è il prodotto che stabilisce il valore d’impresa, non la produzione. Un’affermazione tanto più vera se la si colloca in un mercato dove la componente di servizio tende ad assumere una crescente importanza. Se crediamo in uno scenario di questo tipo ne consegue che non saranno in tanti a potere sostenere investimenti per creare “fabbriche as a service”. E’ una logica che in qualche modo e per ragioni diverse si è già ampiamente affermata sul mercato. Basti pensare a gran parte delle multinazionali che delegano tutta o gran parte della produzione a gruppi industriali dei paesi emergenti.
In prospettiva come crede si possa attuare uno scenario di questo genere?
Sarà un passaggio graduale, che permetterà alle aziende di sostenere gli investimenti in una logica operativa e non di capitale che prefigura per l’appunto la possibilità di confrontarsi con un costo di servizio: non possiedo più la macchina, la uso. In uno scenario di questo genere si apriranno nuove opportunità, in primo luogo quella di poter acquisire una potenza produttiva maggiore in virtù del fatto che gli investimenti diventano più sostenibili. Si riduce la barriera all’ingresso di investimenti e si facilita l’innovazione con ricadute positive nella modernizzazione del parco installato. Al contrario di comprare una macchina e prevedere un piano di ammortamento decennale, si paga una rata mensile comprensiva dei servizi di manutenzione programmata, in prospettiva predittiva, che potranno essere detratte fiscalmente. E’ un qualcosa su cui gli stessi produttori di componenti si dovranno iniziare a interrogare.
In quale modo sostenete le aziende vostre associate in un percorso di crescita?
Come associazione abbiamo deciso di essere indipendenti da Confindustria poiché la nostra missione è concentraci sui problemi del settore senza dover intervenire in attività di supporto amministrativo, fiscale e sindacale. Liberi, quindi, di perseguire obiettivi di miglioramento del business. Esempi sono quelli legati alla difesa della proprietà intellettuale in modo tale che un progetto industriale non possa essere venduto sottobanco a concorrenti. Le Pmi italiane sanno fare molto bene la tecnologia ma non hanno tempo e risorse con esperienza da dedicare per attività di marketing internazionale. Ecco, quindi, che sosteniamo le nostre imprese associate in tutte le attività di internazionalizzazione, provvedendo a semplificare e orientare un percorso di espansione su mercati di cui si hanno scarse conoscenze. In questo senso si muovono le nostre missioni all’estero che hanno interessato nel tempo paesi dell’est europeo, come Polonia e Romania, e poi Stati Uniti, Messico, Cina e Iran.
Qual è il vostro ruolo per risolvere il problema della scarsità di competenze qualificate e coerenti con le sfide di cambiamento con cui si confrontano le aziende?
Con il MIUR (Ministero università e ricerca) abbiamo aperto un tavolo di lavoro per individuare e definire il percorso migliore per formare tecnici meccatronici. Nascerà quindi a settembre la rete meccatronica che potrà contare inizialmente su 60 scuole sparse su tutto il territorio con piano di studi coordinato a livello nazionale. L’obiettivo è di farle crescere e arrivare a mettere in rete 100 istituti tecnici. Le aziende devono capire che nelle scuole esistono enormi potenzialità e che in Italia ci sono ragazzi di grande talento. Lo dimostrano i recenti successi ottenuti in contesti internazionali su temi importanti quali la robotica. Lo sanno bene le aziende del manifatturiero tedesco che, attraverso la Regione Lombardia, sono riuscite a mettere a punto un progetto di formazione per soddisfare la ricerca di personale specializzato. Assurdo. Sembra che ci si rallegri a vedere che aziende tedesche portino via i nostri ragazzi. Su questo abbiamo le idee chiare: faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per incentivare la formazione di modo che i nostri talenti possano trovare una collocazione nelle imprese italiane. Ho avuto l’occasione di essere nelle giurie che dovevano premiare i migliori progetti realizzati all’interno dei vari concorsi indetti da Its e sponsorizzati da varie aziende del settore. Ebbene, dei 100 progetti che ho avuto modo di vagliare, una ventina erano eccellenti, 75 meritevoli e 5 buoni. Che dire? Possibile che non ci siano imprenditori curiosi interessati dare una possibilità a questi ragazzi? Ne trarremo beneficio tutti, le parti interessate innanzitutto, ma anche l’intero paese. I ragazzi sono il nostro futuro.
Chi è Aidam
L’Associazione Italiana di Automazione Meccatronica, Aidam, nasce nel 2011 dalla precedente esperienza di Aida, per rappresentare al meglio, in Italia e soprattutto all’estero, il comparto industriale della Meccatronica, scienza che studia l’integrazione di meccanica, elettronica e informatica. Con oltre 70 associati, più di 2000 addetti impiegati e un fatturato di 600 milioni di euro, Aidam è il punto di riferimento delle realtà aziendali che gravitano attorno a questa disciplina, dai costruttori di impianti di automazione “chiavi in mano” ai costruttori e distributori di sistemi e componenti, passando per la robotica e i sistemi di visione. Aidam è tra i promotori della crescita dell’intero settore manifatturiero, nonché del passaggio a Industria 4.0, attraverso una costante e fattiva collaborazione con le istituzioni, e un sostegno qualificato alle aziende associate in tutte le fasi della trasformazione, mettendo a fattor comune know-how, competenze e innovazioni tecnologiche. Con tre sedi a Milano, Belgrado e Praga, e protocolli d’intesa già avviati con Serbia e Tunisia, Aidam è presente con le sue missioni anche in: Bulgaria, Finlandia, Francia, India, Iran, Romania e Stati Uniti.