Di fronte a uno scenario in grande trasformazione come e cosa cambia nel mondo delle imprese che operano nell’assemblaggio e nella meccatronica? Abbiamo chiesto a Michele Viscardi, Presidente di AIdAM e Direttore dello Sviluppo Business di Cosberg, quali sono le sfide con cui il comparto manifatturiero si sta confrontando e quali le prospettive per una sostenibilità di lungo termine. Il tema sarà al centro della discussione di Industry Big Event 2019, il tradizionale appuntamento di Pentaconsulting dedicato all’innovazione che si svolgerà l’8 novembre presso il Cefriel di Milano.
Secondo i dati dello studio presentato al recente World Manufacturing Forum, entro il 2028 in Italia si creeranno 4,6 milioni di nuovi posti in ambito industriale, 2,69 milioni per pensionamenti e 1,96 milioni per la crescita del settore. È una conferma che automazione e digitalizzazione creano molto più lavoro di quanto ne distruggano. Notizia positiva dunque che però è accompagnata da una altrettanto cattiva ovvero che il 53% del nuovo lavoro rimarrà scoperto per mancanza di personale con competenze adeguate. Questo quadro si accompagna poi ad alti tassi di disoccupazione che evidenziano un cronico “mismatch” tra domanda e offerta. «Sono dati che purtroppo riflettono le evidenze emerse anche da nostre indagini», dice Michele Viscardi. «Solo un’azienda su due nei prossimi cinque anni riuscirà a trovare persone con profili tecnici allineati alle nuove necessità. Quello della mancanza di competenze è un fenomeno di cui si ha ormai ampia consapevolezza. Per porvi rimedio è assolutamente necessario rafforzare e incentivare percorsi formativi in modo che siano coerenti con il nuovo mercato del lavoro. È un progetto ampio che deve partire dalle scuole medie e che deve puntare a far emergere e trasferire il valore dell’industria italiana a tutto il sistema dell’istruzione. A questo riguardo è sempre bene ricordare che il comparto dei beni strumentali speciali realizza un fatturato maggiore di quelli della moda e del vino. Eppure, quando si parla di Made in Italy, nell’immaginario collettivo l’automazione, la robotica e gli impianti speciali sono poco contemplati».
Solo un’azienda su due nei prossimi cinque anni riuscirà a trovare persone con profili tecnici allineati alle nuove necessità.
In quale modo crede si debba agire per acquisire quelle competenze che le aziende devono avere per poter continuare a competere nel nuovo scenario digitale?
Rappresentando uno dei comparti trainanti della nostra industria, come Associazione abbiamo l’obiettivo di creare un ponte reale e concreto tra il mondo accademico e quello industriale. A tal fine, ad aprile 2018 abbiamo firmato un accordo con il MIUR che prevede un aggiustamento delle linee guida dei programmi scolastici per allinearli meglio alle reali esigenze delle aziende e, al contempo, un rilancio degli Istituti Tecnici. Relativamente a quest’ultimo punto, l’intento è quello di far comprendere a ragazzi e famiglie che la figura del Tecnico Meccatronico non solo sarà sempre più richiesta (e ci sono dati che lo dimostrano), ma permette di acquisire competenze multiple tali da svolgere anche mansioni ad elevato valore aggiunto, che sono adatte – perché no – anche alle ragazze (fino ad oggi un po’ precluse da questo mondo). Il progetto di AIdAM dedicato all’Education si sviluppa su più fronti: orientamento dei ragazzi, formazione dei Docenti, stesura di un manuale della Meccatronica, supporto alla creazione di laboratori per le scuole. L’intero progetto è partito con quattro Istituti pilota, distribuite sul territorio nazionale, ma verrà presto esteso anche ad altre scuole.
La figura del Tecnico Meccatronico sarà sempre più richiesta e permette di acquisire competenze multiple tali da svolgere anche mansioni ad elevato valore aggiunto
Ma se, da un lato, la nostra associazione è sempre più impegnata per instradare i ragazzi verso competenze che servono al Sistema Paese, dall’altro ritengo altrettanto importante che si agisca sul territorio per valorizzare al massimo la propria presenza, dando l’opportunità a ragazzi e genitori di vedere come è oggi una fabbrica e far loro comprendere quanto queste realtà siano ormai cambiate nel tempo e non rappresentino più – come spesso ci si immagina – il luogo della fatica, ma veri luoghi di innovazione. Del resto, se non assisteremo rapidamente a una inversione di tendenza delle dinamiche associate al mercato del lavoro, rischiamo che prevalga una guerra tra aziende per garantirsi i talenti migliori. Il bisogno di competenze sarà sempre più accelerato. Fino a 10 anni fa bastava avere il meccanico e il softwarista, adesso ci serve il meccatronico e un domani servirà un qualcosa di ancora diverso. Il punto di forza per gestire queste discontinuità è avere apertura mentale e disponibilità al cambiamento.
Se non assisteremo rapidamente a una inversione di tendenza delle dinamiche associate al mercato del lavoro, rischiamo che prevalga una guerra tra aziende per garantirsi i talenti migliori
Con gli interventi statali nell’ambito di Industria 4.0 le imprese manifatturiere hanno guadagnato efficienza. Quali sono le sue valutazioni in merito e cosa si attende dal nuovo Governo?
Di passi avanti se ne sono fatti un bel po’ nel corso di questi ultimi anni. E di questo dobbiamo ringraziare le iniziative che sono state varate con il Piano Calenda, in quanto hanno rappresentato il vero primo segnale di interesse generale verso l’industria, che ha portato con sé un “innamoramento” anche tra i non addetti al lavoro. È un percorso che dovrebbe essere sostenuto e consolidato. Lo speriamo, perché le aziende si confrontano con un periodo di stagnazione economica che coinvolge non solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Dopo la rimodulazione al ribasso degli incentivi per il 4.0 effettuata dal primo esecutivo Conte ci sono state delle aperture per rilanciare e far diventare strutturale, e non più straordinario, l’impianto del sostegno statale alle imprese impegnate nella trasformazione digitale dell’industria manifatturiera. Vedremo. Gli incentivi sono stati finora utili a rinnovare il parco macchine ma non hanno determinato un reale cambiamento della visione aziendale. Quest’ultima non la si può certo imporre per decreto. Rispetto a quanto fatto sinora servirebbe poter ragionare su ammortamenti più veloci con orizzonti temporali non più a 5-10 anni ma a 2-3 anni poiché il ciclo di vita prodotto è tendenzialmente sempre più basso.
E’ importante che il Governo si impegni per far diventare strutturale, e non più straordinario, l’impianto del sostegno statale alle imprese impegnate nella trasformazione digitale dell’industria manifatturiera
Per rispondere alle sfide del digitale e dotarsi delle implicite risorse e tecnologie abilitanti vi sono aziende che privilegiano la creazione di “business unit” indipendenti – o quanto meno con un alto grado di autonomia – in modo da poter sviluppare la creazione di servizi da associare al core business manifatturiero. È una strategia che condivide o crede sia meglio andare a cercare queste competenze all’esterno del perimetro aziendale?
All’atto pratico – in termini organizzativi e gestionali – ritengo che non ci sia molta differenza tra le due soluzioni. Ad esempio, per sviluppare un servizio correlato al nostro business, la mia azienda ha deciso di investire in una start-up esterna. Ma non esiste una scelta corretta in assoluto: dipende dalle strategie aziendali, dalla disponibilità degli imprenditori a rivedere il proprio modello di business e dalla volontà di aprirsi a mercati differenti. In ogni caso, le imprese devono essere disposte a mettere sul piatto risorse e investimenti. E, in merito a ciò, ritengo che le grandi aziende abbiano le capacità di muoversi in piena autonomia. Il problema maggiore risiede nelle PMI. Certo, abbiamo assistito nell’ultimo anno alla costituzione di una rete di supporto all’innovazione e al trasferimento tecnologico – vedi digital hub, competence center e Lighthouse Plant– che è di buon auspicio. Vedremo nel tempo quale sarà la reale efficacia di tutte queste iniziative; se si supereranno interessi particolari e se si riuscirà a mettere a fattor comune le indiscutibili risorse e competenze che ciascun soggetto è in grado di rendere disponibili. Insomma, vedremo se ci sarà un vero lavoro di squadra. Al di là di questo ritengo che sia di grande importanza per tutte le imprese di dimensioni più piccole – a livello di distretto o filiera industriale – riflettere sulle opportunità di consorziarsi. È un modo intelligente per far fronte alle nuove esigenze e risolvere lo “skill problem” ottimizzando le risorse disponibili. In alcune realtà sono operazioni che si sono già realizzate, in altre, e per fortuna, le si stanno valutando con grande attenzione.
Tutte le imprese di dimensioni più piccole – a livello di distretto o filiera industriale – devono riflettere sulle opportunità di consorziarsi. È un modo intelligente per far fronte alle nuove esigenze e risolvere lo “skill problem” ottimizzando le risorse disponibili
I mercati si muovono ad alta velocità. La domanda sembra propendere verso un modello di acquisto basato su una logica di servizio improntata alla soluzione dei problemi. Quali le conseguenze di questa trasformazione annunciata?
Il mondo del machinery deve attrezzarsi per cambiare modello di business e ci si deve impegnare per progettare un futuro as a service ovvero “servitizzare” le macchine. Considerata la grande percentuale di fatturato rappresentata dall’export, questa prospettiva potrebbe essere una leva straordinaria per la crescita del nostro comparto sulla scena mondiale poiché i beni strumentali sarebbero in gran parte in mano ad aziende italiane e quindi al Sistema Paese. Tuttavia, la realtà è ancora molto conservativa e legata a vecchi canoni industriali dove l’ottimizzazione delle componenti di produzione dipende ancora dalla “sensibilità” dell’operatore. Con il digitale si ha invece l’opportunità di interagire con la macchina non più attraverso un processo meccanico ma attraverso un processo che deriva dall’acquisizione di dati “on field”. In Cosberg ci crediamo talmente tanto che abbiamo sviluppato una piattaforma per l’analisi dei dati che sarà sempre più orientata a tecniche di intelligenza artificiale. L’obiettivo è riuscire a dare una rappresentazione sempre più digitale di un oggetto fisico, fare in modo che l’interfaccia uomo-macchina sia rappresentata da una realtà “virtuale” – o digital twin – accessibile da un qualsiasi device. È una delle logiche che crea i presupposti per abilitare i modelli di business “”pay per use” di domani. Ecco, quindi, che in virtù di queste opportunità, come associazione vogliamo garantire alle aziende un percorso di evoluzione digitale su più fronti, dirottandole progressivamente verso nuovi modelli di business poiché non basta più costruire macchine. Di costruttori di macchine ne nascono di nuovi ogni giorno. E uno dei fattori che concorrerà sempre più a determinare il vantaggio competitivo è il fatto di riuscire ad essere un soggetto industriale il cui punto di forza sta nel quoziente d’impresa digitale. Ci dobbiamo infine impegnare per convincere le PMI ad aggregarsi, poiché siamo convinti che, spesso, è l’unico modo per garantire la sostenibilità d’impresa nel lungo periodo.
Il mondo del machinery deve attrezzarsi per cambiare modello di business e ci si deve impegnare per progettare un futuro as a service ovvero “servitizzare” le macchine.