Piattaforme ed ecosistemi digitali sono i fondamenti dell’outcome economy, uno scenario dove i modelli di business si ispirano alla possibilità di creare valore dalla connettività IOT. Una logica di mercato dietro la quale si cela la grande sfida del secolo: il controllo dei dati. Quest’ultimi sarà uno de temi che verranno discussi nel corso di IBE, Industry Big Event 2019, il tradizionale appuntamento di Pentaconsulting dedicato all’innovazione che si svolgerà l’8 novembre presso il Cefriel di Milano
di Marco Maiocchi, socio e fondatore di Opdipo
Immaginiamo di ricevere sul nostro cellulare un messaggio che ci dice che, presumibilmente, nello spazio di due settimane la nostra caldaia del riscaldamento di casa si guasterà e che tale messaggio sia accompagnato dal suggerimento di un appuntamento con un addetto della manutenzione, con tanto di preventivo. Se ciò avvenisse, si renderebbe pressoché nulla l’interruzione di servizio ovvero acqua calda e riscaldamento sempre garantiti. Il produttore beneficerebbe invece di un vantaggio competitivo rispetto a chi non fornisce un analogo servizio e sarebbe nella condizione di acquisire dati on field utili al miglioramento della caldaia. Non solo. Chi si occupa della manutenzione potrebbe infatti contare su maggiore capacità previsionale con l’opportunità di migliorare l’organizzazione e distribuzione dei servizi, riducendo i costi complessivi. Il tutto, infine, si tradurrebbe in un minore spreco e minore inquinamento.
Dietro a tutto questo, cosa ci sta? Una rete di sensori – che si occupa della raccolta dati (sull’ambiente, sul consumo di corrente, sullo stato di usura delle apparecchiature, sulle caratteristiche chimiche dell’acqua, e così via) e che va ad alimentare applicazioni software e analytics su piattaforme dedicate. Questi stessi dati possono poi essere integrati con informazioni supplementari: relative a condizioni metreologiche, alla disponibilità di energia nella città o ad eventuali interruzioni per lavori sulla rete pubblica. Insomma, si potrebbe fare leva su un ecosistema di “open data” per un’informazione a valore orientata a erogare servizi con vantaggi diversificati sia lato offerta che lato domanda.
Ci troviamo di fronte a un ecosistema in cui non fruiamo più della caldaia o dell’impianto di riscaldamento, ma di acqua calda e di temperatura ambiente. Tutto questo grazie a sensori, piattaforme condivise, miliardi di dati provenienti da diversi fornitori, adeguatamente condivisi da software gestionali. E una nuova forma di competizione: quella di chi fornisce un risultato finale, non un prodotto e non solo un servizio. L’outcome economy.
L’esempio descritto può essere declinato in una molteplicità di settori produttivi ed è foriero di cambiamenti epocali. In agricoltura può per esempio contribuire a contrastare la peronospora, ridurre i pesticidi e migliorare la produttività; sul fronte energetico può ottimizzare l’efficienza dei consumi; negli ospedali può contribuire alla gestione ottimale di scorte di medicinali. L’unico limite applicativo, come si può bene intuire da questi esempi, è dato dall nostra creatività e immaginazione! Ma chi vuole giocare in questa nuova arena deve prepararsi. Si devono infatti rendere interoperabili le piattaforme; si devono selezionare i dati da mettere a disposizione; ci si deve focalizare su tutte le questioni inerenti la sicurezza; si devono individuare competenze e i partner che aiutino a mettere a punto un percorso virtuoso in una dimensione IIOT.
La competitività non sarà tanto legata alla dimensione dell’impresa – capace di fare massa critica – quanto piuttosto alla dimensione dell’ecosistema a cui si partecipa. Certo, c’è il rischio che il leader del gruppo sia proprio la piattaforma, unico grande crocevia delle informazioni, vitale per tutti e indipendente. E non è tanto un rischio economico. Il problema centrale è la regolamentazione di questo nuovo scenario, in particolare in termini di controllo degli ecosistemi e dei dati, vera materia prima dell’outcome economy.
E’ saggio mettere nelle mani di poche potentissime strutture private, che agiscono con fine di lucro, il controllo delle infrastrutture digitali e dei dati che le percorrono? Ė prudente mettere nelle loro mani il potere di discriminare chi partecipa e chi no, e come? Quale governo, in una situazione in cui la globalizzazione riguarda i mercati e non la politica, potrà mai imporre regole che valgano per tutti gli Stati? Cosa potrà succedere se l’ecosistema controllerà le informazioni che possono influenzare i voti (come già è successo). Quale forma di governo sostituirà le già imperfette democrazie attuali? Domande complesse, sulle quali si dovranno compiere le scelte migliori, con competenza e lungimiranza.