Secondo le stime di Banca d’Italia La produzione industriale italiana ha subito a marzo una contrazione del 15% circa. Il Centro Studi di Confindustria stima, in uno scenario di fine epidemia a giugno, un fabbisogno di liquidità nel 2020 pari a 30 miliardi di euro, in gran parte necessari tra aprile e giugno. In uno scenario di fine epidemia a dicembre il fabbisogno ammonterebbe a 80 miliardi. (by Pm)
“Servono ingenti risorse pubbliche per fornire immediata liquidità alle imprese e rendere poi possibile la ripartenza una volta terminata l’emergenza sanitaria. Cruciale è la tempistica: occorre agire subito, per evitare crisi di imprese già nei primi mesi. E’ cruciale prevedere tempi di ammortamento dei prestiti su orizzonti sufficientemente lunghi”. E’ in questi termini che Confindustria incita il Governo a intervenire con tutta l’immediatezza necessaria per dare avvio alla Fase-2 e contrastare la crisi coronavirus.
Fase 2 – Le imprese che possono riprendere attività produttive nel rispetto dei protocolli di sicurezza
Come scrive Antonio Calabrò, giornalista e vicepresidente di Assolombarda, per non sommare alle vittime della pandemia a quelle della depressione economica, si deve iniziare a parlare concretamente di Fase-2 e cioè di ritorno al lavoro, di cauta e graduale riapertura delle fabbriche, con tutte le garanzie che consentano innanzitutto di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Ci si sta muovendo in questa direzione un po’ in tutta Europa. Spagna, Austria, Francia. Anche la Germania va verso la fase 2 rispettando severi protocolli di sicurezza e imprenditori tedeschi chiedono ai loro fornitori italiani di ricominciare a produrre poiché l’industria tedesca senza la nostra componentistica è bloccata.
In alcuni settori dell’opinione pubblica, ma anche in ambienti di governo, tiene banco il dilemma salute o lavoro. E sono parecchie le polemiche contro gli imprenditori accusati di preferire il loro profitto a discapito della salute dei dipendenti. A questo proposito Calabrò parla di un falso dilemma, o peggio ancora di una distorsione da propaganda, “frutto di una subcultura anti-impresa, di un’ideologia anti-industriale e pauperistica”. Vero, non si tiene conto che un – 9% del Pil, questo quanto si prevede per il 2020, non è solo un mero dato economico e che una recessione prolungata non porta soltanto con sè disagio sociale ma “morti” indirette.
La fotografia di quanto succedendo in questi giorni è ben descritta in un articolo di Giuseppe Colombo nella sezione economia dell’Huffington Post. “La prospettiva indicata dagli imprenditori del Nord non è più quella dell’aggiungere un paio di attività a quelle aperte, non è più un ragionamento per settori da rimettere in moto. Quello a cui si punta è la riapertura della cosiddetta catena del valore e di tutte le imprese che sono impegnate nell’export… Gli imprenditori del Nord lo dicono da almeno due settimane: i mercati non si adeguano al protocollo del lockdown italiano se molti Paesi – europei innanzitutto e Germania in testa – stanno tenendo le fabbriche aperte”.
Dice Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, “È evidente come siano urgenti misure a sostegno della liquidità delle imprese, così come è urgente pianificare una ripresa delle attività economiche, coerentemente con le esigenze di tutela della salute e con le indicazioni della comunità scientifica. Sulla liquidità servono mai come in questo momento interventi imponenti. Ora l’obiettivo è salvare il sistema industriale ed economico italiano e non guardare a deficit e debito. Ci sarà tempo per farlo. Anche perché il rischio concreto è di salvare i conti pubblici oggi, ma non avere più contribuenti domani”.
Come afferma Panuccci, il fatturato della gran parte delle imprese è ormai zero o prossimo allo zero, ma non lo sono i costi che queste devono sostenere. Il rischio che molte imprese in queste condizioni chiudano per non riaprire più è concreto. Per questo servono misure che, da un lato, garantiscano che la liquidità arrivi alle imprese, attraverso un potenziamento delle garanzie pubbliche per la concessione di credito da parte delle banche, finanziamenti agevolati, un’accelerazione dei rimborsi fiscali. Dall’altro bisogna evitare di drenare liquidità dalle imprese, quindi sospendere i pagamenti fiscali e contributivi, rifinanziare gli ammortizzatori sociali, ecc. Occorre che alle imprese siano forniti tutti gli strumenti per superare una fase drammatica e riprendere la loro attività, contenendo i danni.
Per le attività economiche, infatti, abbiamo regole condivise che possono garantire condizioni di sicurezza alle persone che lavorano, spiega Marcella Panucci. “Attraverso una stretta collaborazione tra associazioni imprenditoriali e sindacati si deve assicurare nelle imprese che riavviano l’attività l’applicazione rigorosa del protocollo per la sicurezza, siglato lo scorso 14 marzo. Il Protocollo è, soprattutto, uno strumento attivo per la prevenzione del contagio perché prevede, ad esempio, la possibilità di monitorare lo stato di salute dei lavoratori, il rispetto di distanze di sicurezza, l’uso di mascherine e dispositivi di protezione. In questo senso è importante l’accordo che la Piccola Industria di Confindustria ha siglato con il Commissario Arcuri nell’ambito del Progetto Gestione Emergenze per garantire la disponibilità di questo prodotti alle imprese. Dobbiamo avere la consapevolezza che una sospensione prolungata e generalizzata delle attività economiche non è sostenibile e che salute e lavoro non sono in conflitto tra loro, ma devono sostenersi a vicenda per garantire il benessere sociale”.
Un esempio positivo, che può ben fare da paradigma di riferimento, viene dall’accordo firmato il 9 aprile da Fca e sindacati per ritornare a produrre auto negli stabilimenti di Torino e Melfi: protocolli severi sulle mascherine, le rilevazioni di temperatura, le distanze sia durante i processi di lavoro che negli spazi comuni (mense, spogliatoi, ingressi), la sanificazione costante degli ambienti, lo smart working ovunque sia possibile, i controlli di sicurezza. Altrettante best practice emergenziali sono quelle messe in atto da Ferrari e Leonardo.
Ci si augura che le competenze di cui oggi può disporre oggi il Governo grazie al Think Tank del gruppo di esperti presieduta da Vittorio Colao, possa essere di aiuto. L’importante è che si realizzi un processo decisionale efficiente, cosa che fino a oggi è del tutto mancata. Nella squadra di Colao sono presenti economisti e altri manager di spessore ed esperienza, come Alberto Giovannini, ex presidente dell’Istat, ex ministro del Lavoro e attuale leader dell’Asvis (l’Associazione per lo sviluppo sostenibile), Giovanni Gorno Tempini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti e Roberto Cingolani, responsabile dell’innovazione tecnologica di Leonardo dopo aver portato al successo l’Iit, l’Istituto italiano di Tecnologia di Genova.
Persone serie, autorevoli, competenti, sicuramente in grado di fare scelte che tengano insieme esigenze sanitarie ed economiche, la salute e la produzione, la sicurezza e il lavoro. Il dubbio, si chiede però Calabrò, riguarda i poteri della commissione guidata da Colao: un super centro studi per dare indicazioni al governo o una struttura operativa, con poteri e mezzi? La seconda strada sarebbe naturalmente preferibile. I timori, che speriamo siano rapidamente smentiti, sono che si sia finora rimasti nei confini di una mossa comunicativa a effetto, di una brillante trovata di propaganda”.