Lo stop di molte attività produttive deciso dal governo italiano si è basato su una lista di settori, identificati dai codici Ateco. Una logica che non tiene conto dell’interazione oggi esistente tra settori produttivi. La specializzazione fa sì che in quasi tutti i prodotti complessi la quota di componenti e parti acquistate sia superiore al 60 per cento del valore del prodotto. Molte di queste provengono da settori diversi. Le filiere produttive (supply chain) infatti sono fortemente intersettoriali, oltre che globali. Le riflessioni degli analisti e ed economisti della Sda Bocconi School of Management (SBCM).
Guardiamo alla realtà. Molte aziende della meccanica e metalmeccanica producono parti per il comparto medicale, imprese produttrici operanti nel settore della plastica realizzano confezioni e componenti per il farmaceutico o l’alimentare. Stessa logica vale per l’elettronica e per altre macro aree industriali. Un esempio per tutti? L’automotive. Come scrive il sole24ore, “Per comprendere il livello di compenetrazione tra i player della componentistica automotive italiana e l’intera filiera europea dell’auto, è sufficiente analizzare i dati delle esportazioni nel corso del 2019: l’Italia ha esportato oltre 21 miliardi di componenti e ne ha importati per 15 miliardi, con una bilancia commerciale positiva per 6,53 miliardi”. Per noi vale soprattutto il valore del rapporto con la Germania: nel 2019 valeva 8,55 miliardi di cui 4,63 di esportazioni dall’Italia e 3,92 miliardi di importazioni.
I limiti dell’emergenza incompatibili con il timing del mercato
Di fronte all’emergenza, si sono poste due opzioni principali: agire con limitazioni settoriali, pur consci dell’imperfezione delle classificazioni impiegate, lasciando ridotti margini di flessibilità e delega ai territori attraverso soggetti in grado di assumere decisioni per eccezioni; lasciare al vaglio di queste ultime la pletora di autocertificazioni delle imprese richiedenti, in moltissimi casi legittime, consapevoli tuttavia dell’onerosità dei processi e dei tempi per svolgere dette verifiche, incompatibili con l’urgenza a cui si richiamava l’intervento.
Sbagliato contrapporre economia e sanità
Da più parti si ripete che esiste un tempo per affrontare la drammaticità dell’emergenza sanitaria e un altro per pensare alle implicazioni economiche e al dopo. Se è assolutamente vero che esiste una priorità – ed è quella della salvaguardia e della sicurezza dei cittadini – le riflessioni sui due fronti (salute pubblica ed economia) non possono e non devono essere affrontate disgiuntamente ed entrambe impongono tempestività, affermano in SBCM.
Progettare la ripartenza
“Questo è il momento per progettare e per prepararsi a far ripartire la macchina. Altrimenti il Paese, prostrato dagli esiti della pandemia, si troverà in ritardo quando questa, auspicabilmente nel giro di qualche mese, sarà almeno in parte debellata. Se è forse comprensibile che il nostro sistema-Paese si sia trovato impreparato ad affrontare una crisi sanitaria di questa eccezionale portata, essendo stato tra i primi ad esserne colpito, non sarebbe accettabile scoprirsi inermi di fronte a quella economica e sociale che inevitabilmente seguiranno”.
Quale exit strategy?
Secondo le riflessioni fatte dagli analisti, “Sarà complesso affrontare questa seconda crisi, che avrà tempi lunghi (non è facile prevedere neppure quando l’epidemia terminerà) e non scontati, ma è necessario e urgente prepararsi a farlo fin da ora. Il rischio di assistere a una «crisi a U», prolungata nel tempo, con impatti drammatici su occupazione e famiglie da un lato, e sulla competitività stessa del Paese dall’altro, è uno scenario che rischia di consolidarsi nel tempo se non contrastato da piani di rilancio da elaborare subito, con interventi massicci e mirati”.
Supply Chain resilienti
Secondo gli analisti di McKinsey la situazione odierna deve spingere i business a ripensare a come gestire la propria supply chain in modo da diventare più resilienti in caso di shock futuri. Lavorare oggi, in sostanza, per prepararsi al domani. In che modo i leader della supply chain possono anche prepararsi a medio e lungo termine e costruire supply chain resilienti?
Per McKinsey sono sei azioni le azioni da intraprendere parallelamente alle misure a supporto della forza lavoro e ai requisiti politici:
- Creare trasparenza sulle catene di approvvigionamento a più livelli, stabilire un elenco di componenti critici, determinare l’origine della fornitura e identificare fonti alternative.
- Stimare le scorte disponibili lungo la catena del valore, compresi i pezzi di ricambio e le scorte post-vendita, da utilizzare come ponte per mantenere attiva la produzione e consentire la consegna ai clienti.
- Valutare la domanda realistica del cliente finale e rispondere o contenere le carenze di acquisto dei clienti.
- Ottimizzare la capacità di produzione e distribuzione per garantire la sicurezza dei dipendenti, ad esempio fornendo dispositivi di protezione individuale (DPI) e impegnandosi con i team di comunicazione per condividere i livelli di rischio di infezione e le opzioni di lavoro da casa.
- Individuare e proteggere la capacità logistica, stimare la capacità e accelerare ed essere flessibili sulla modalità di trasporto, quando necessario.
- Gestire la liquidità e il capitale circolante netto eseguendo stress test per capire dove le problematiche della catena di fornitura inizieranno a causare un impatto finanziario.