La crisi dell’auto ha dimensioni mondiali senza precedenti. Le ripercussioni non risparmiano l’Italia dove il comparto automotive è rappresentato da un mondo fatto di 5.529 imprese, 274.000 addetti tra diretti e indiretti, vale a dire più del 7% degli occupati del settore manifatturiero italiano. Un comparto che nel suo complesso genera un fatturato di 105,9 miliardi, pari all′11% del fatturato della manifattura italiana ovvero il 6,2% del Pil. Servono incentivi e investimenti che non siano soltanto di sopravvivenza ma che guardino al futuro. In questa prospettiva la Commissione Ue sta facendo circolare una bozza di un piano di 100 miliardi di euro a favore dell’industria automobilistica, al fine di promuovere un trasporto più ecologico, in particolare attraverso le auto elettriche.
Per quanto riguarda l’Italia l’entità del danno causato dal lockdown è rivelata dai numeri. Secondo Anfia, l’associazione nazionale filiera industria automobilistica. Le nuove immatricolazioni di auto sono state a marzo 28.396 a marzo (-85%) e a 4.293 ad aprile (-98%). I privati, cioè i cittadini, che lo scorso mese hanno comprato un auto in Italia sono stati meno di duemila. Nei primi quattro mesi dell’anno, il mercato, con poco meno di 352mila autovetture, si è dimezzato. Anche i dati del ministero dei Trasporti confermano il trend nerissimo delle immatricolazioni, con Fca che nel mese di aprile ha venduto in Italia 1.620 auto, il 96,3% in meno dello stesso mese del 2019.
Il trend al ribasso interessa anche la Francia e la Spagna, altri due Paesi a forte vocazione automobilistica. La crisi riguarda oriente e occidente. Il produttore giapponese Nissan, che insieme al marchio francese Renault costituisce il quarto gruppo al mondo, si prepara a tagliare ventimila posti di lavoro. Qualcosa come il 15% dell’intera forza lavoro. Posti di lavoro persi che aggiornano il conto degli esuberi totali del comparto automotive a più di cinquantamila.
Pesante la situazione in Germania. Per il Big europeo dell’automotive, che vanta Volkswagen, il primo costruttore del mondo, le immatricolazioni di nuove autovetture sono diminuite del 38% rispetto allo scorso anno, scendendo a 215.119 unità. Ad aprile con 120.840 auto nuove immatricolate, la flessione tendenziale è stata del 61%. Nei primi quattro mesi del 2020 le immatricolazioni sono state 822.202, il 31 in meno.
Ad aprile le case automobilistiche tedesche hanno quasi completamente cessato la produzione: sono uscite dalla catena di montaggio solo 10.900 auto (-97%). Dopo quattro mesi, la produzione domestica di auto si è fermata a 1 milione di unità (-38%). Anche l’attività di esportazione si è completamente fermata: ad aprile solo 17.600 auto nuove sono state consegnate ai clienti di tutto il mondo (-94%), mentre da inizio anno sono state esportate 794.700 auto (-38%). Questi dati dicono che la Germania sta attraversando la più grande crisi del mercato automobilistico dalla riunificazione avvenuta trent’anni fa.
Come suggerito dall’Ispi, «Il ritardo nell’adozione di piani nazionali potrebbe essere dovuto alla possibilità di un intervento massiccio dell’Unione europea a sostegno del settore auto, in una logica di riconversione industriale. La Commissione Ue sta infatti facendo circolare una bozza di un piano di 100 miliardi di euro a favore dell’industria automobilistica, al fine di promuovere un trasporto più ecologico, in particolare attraverso le auto elettriche.
Proprio a queste ultime dovrebbero essere destinati tra i 40 e i 60 miliardi di euro di investimenti del pacchetto complessivo. L’inquinamento del traffico auto è infatti responsabile del 75% delle emissioni generate dal settore dei trasporti. Un piano ambizioso che, se coordinato con l’adozione dello European Green Deal, potrà favorire una rivoluzione economica senza precedenti, in grado di assicurare una transizione industriale verso un modello più sostenibile di economia, di infrastrutture e di compatibilità dei trasporti con l’ambiente.
In Europa, le discussioni intorno a possibili aiuti di stato al comparto automobilistico stanno divenendo sempre più concrete. Come si afferma nall’articolo a firma degli analisti Ispi, Alessandro Gili e Alberto Belladonna, Il paese più attivo è la Francia, che ha concesso garanzie per un prestito pari a 5 miliardi di euro a Renault, misura che è stata approvata dalla Commissione europea. L’obiettivo è concedere liquidità al gruppo che ha ovviamente risentito del crollo delle immatricolazioni a causa del lockdown.
È utile peraltro inoltre che il governo di Parigi è azionista delle due più importanti case automobilistiche francesi: (15,01% in Renault e 12,23% del gruppo Peugeot attraverso la banca pubblica d’investimento Bpifrance). Un piano complessivo è stato annunciato dal ministro dell’Economia Le Maire, con provvedimenti per il sostegno del settore e incentivi finalizzati alla transizione verso veicoli elettrici e a basso impatto ecologico. Nella logica della ridefinizione delle supply chains globali e a conferma delle tendenze verso fenomeni di re-shoring, il ministro francese ha chiarito che i finanziamenti pubblici saranno riservati ai costruttori che si impegneranno a riallocare gli stabilimenti di assemblaggio in Francia.
AncheAustria e Paesi Bassi sono intenzionate a porre clausole “ambientali” per il sostegno al settore. In Germania, il Governo federale ha annunciato che deciderà entro l’inizio di giugno sui possibili aiuti al settore. In questo caso, sono le stesse compagnie tedesche (Bmw, Volkswagen e Daimler) a chiedere che gli incentivi siano finalizzati all’acquisto di auto ecologiche.
L’Italia, attraverso il decreto liquidità, ha concesso garanzie statali sul prestito che FCA ha richiesto ad Intesa San Paolo per 6,3 miliardi di euro. Il ministro dell’Economia Gualtieri ha annunciato che saranno inserite condizioni affinché i prestiti siano vincolati, tra l’altro, al mantenimento dei livelli occupazionali in Italia, al blocco delle delocalizzazioni e alla conferma dei 5 miliardi di euro di investimenti in Italia precedentemente annunciati. La questione è al centro del dibattito anche a causa della prossima fusione paritetica tra il gruppo FCA e il gruppo francese Psa, con i correlati timori per la conferma degli investimenti negli stabilimenti italiani.