E’ nei momenti più critici che si possono introdurre i cambiamenti più rilevanti. L’Italia può cogliere la crisi come opportunità e definire una politica di sviluppo industriale diversa dal passato. La domanda al centro del dibattito è se l’azione del Governo non debba prevedere l’individuazione di mercati chiave, da sostenere e incentivare, privilegiando alcuni settori che si stanno rivelando fondamentali per un’espansione economica di medio e lungo termine. La critica finora mossa all’operato del Governo? Che la logica dei finanziamenti a pioggia sia di corto respiro e che difficilmente potrà incidere in termini di reale ripresa economica. Sono state privilegiate le grandi aziende rispetto alle piccole, molti finanziamenti sono stati accordati ad aziende che hanno aumentato il fatturato e godono di abbondante liquidità. Insomma, i 150 miliardi che il Governo ha messo sul piatto possono essere spesi meglio.
Per Mariana Mazzucato – economista allo University College London oggi a bordo della task force di esperti guidata da Vittorio Colao con l’obiettivo di contribuire a disegnare lo sviluppo industriale del Paese – si tratta di avere uno Stato con un ruolo catalizzatore con l’obiettivo di intercettare e indirizzare gli investimenti. «In Italia, il problema è che la maggior parte delle imprese soffre di una certa inerzia e negli anni abbiamo perso grandi attori in grado di guidare le filiere produttive. E’ ora il momento di attuare una politica industriale decisa che utilizzi gli aiuti pubblici per un cambio di direzione quanto mai necessario. Oggi lo Stato dà già molto alle aziende ma sempre sotto forma di sussidi e incentivi a pioggia per cercare di risolvere fantomatici fallimenti di mercato. Serve invece un ruolo imprenditoriale dello Stato, che agisca in simbiosi con le imprese, indirizzando e coordinando investimenti e iniziative e che dimostri di avere una strategia, una visione di quale economia vogliamo».
Su questi stessi temi preme l’acceleratore lo stesso Colao. Intervistato da Repubblica sembra non avere dubbi su cosa fare e come agire: «Adesso si tratta di far ripartire il Paese, trasformando il rilancio economico e sociale in un’occasione per disegnare il futuro e tenendo a mente una cosa fondamentale: i costi inevitabili e altissimi che dovremo affrontare per questa crisi possono, anzi debbono, essere trasformati in investimenti. … Al governo daremo una sorta di menù, dal quale poi sceglieranno. Ma sarà un menu dettagliato, anche con schede degli interventi da fare a 3, 6, 12 mesi. Ad esempio non si può pensare di portare sul cloud la pubblica amministrazione in poco tempo, ma si possono rapidamente effettuare interventi di semplificazione e velocizzazione dei regimi autorizzativi». Colao insiste per una radicale trasformazione della pubblica amministrazione attraverso le tecnologie digitali: «Deve diventare un alleato dei cittadini e delle imprese e proprio con la digitalizzazione si possono eliminare molti elementi di burocrazia difensiva o oppressiva che a volte vengono giustamente lamentati, per esaltare invece gli elementi di servizio».
Insomma, di fronte alle grandi risorse messe a disposizione dalla Ue e dalla Bce l’Italia non può perdere l’occasione per una ambiziosa iniziativa di radicale trasformazione e di rilancio della propria economia. Recuperare produttività e competitività. Sanare antichi e nuovi guasti ambientali e squilibri sociali. Progetti, dunque. E piani. Per l’innovazione, la ricerca, l’ambiente, le infrastrutture, la trasformazione digitale non solo del lavoro industriale e dei servizi, ma anche della pubblica amministrazione. E per la formazione, la scuola, la cultura diffusa.
Al di là della necessaria disponibilità a individuare le misure più urgenti per assicurare la sopravvivenza di un numero sempre più ampio di medie e piccole aziende si devono dunque prendere misure che possano cambiare i fondamentali. Vale la pena ricordare che da ormai più di vent’anni l’Italia è un paziente con un sistema immunitario molto fragile: al verificarsi una crisi, che sia di bassa, media o alta intensità lo stato di salute sociale ed economico ne esce più indebolito rispetto ai suoi primari competitor europei. Come affermato da Marco Tronchetti Provera, “Nell’ultimo decennio l’Italia è cresciuta molto meno del resto d’Europa, ha prodotto meno ricchezza e ha peggiorato il rapporto tra debito e Pil. Ora, o mettiamo insieme un grande progetto che abbia come stella polare una crescita stabile e duratura, coinvolgendo le migliori competenze del Paese oppure nel medio termine quel debito al 160% del Pil ci piomberà sulla schiena e schianterà l’Italia”.
Ancora Mariana Mazzucato sul tema della centralità dello Stato: «Lo Stato deve dare aiuti alle imprese subito, perché è ora che ne hanno bisogno, ma deve legarli a condizioni molto chiare. È una grande occasione per cambiare le cose. Penso che lo Stato debba interagire con le imprese prendendo i suoi rischi come investitore ma ricevendo anche i suoi utili se le imprese, come è augurabile, fanno profitti e li reinvestono in crescita e innovazione. E che debba individuare quali siano le attività prioritarie per il Paese. … Bisogna investire anche sulla macchina pubblica: ci vogliono meno società di consulenza e più capacità di rendere più competente, dinamica e sicura del suo ruolo la pubblica amministrazione. È tempo di riscoprire che la nostra economia ha tutto da guadagnare da uno Stato imprenditore. I Paesi che hanno risposto meglio alla crisi pandemica come Germania e Corea del Sud ne sono una prova lampante»