Bene! Cioè male, non c’è molto da rallegrarsi! La frase non è mia, ma ciò non toglie che sia tristemente vera e radicata nel nostro bel paese, anche in ambito aziendale. Una riflessione amara, che intende illuminare la strada per attuare un cambiamento di cultura assolutamente necessario.
di Massimo Fucci
Fare leva sulle competenze, conoscenze e capacità di visione è di per sé una ricetta semplice, ma vista la situazione attuale, come accade per alcuni piatti di cucina, non è di facile realizzazione. E’ fattuale! Il tema non è nuovo anzi ha radice antiche (lo sanno bene coloro che lo hanno provato sulla propria pelle). Ma oggi la situazione, comprovata da dati sul campo misurati dal sottoscritto, è decisamente peggiorata.
In primis è venuta meno la conoscenza (la governance) dei fondamentali. Manager e collaboratori erano consapevoli di ogni specifico ruolo e delle singole responsabilità. Oggi, invece, si deroga da tutta una serie di regole, indici e best practice che hanno da sempre favorito decisioni autorevoli e il raggiungimento di buoni risultati. Di contro sono aumentate esponenzialmente la prosopopea, l’autostima ingiustificata e il paraculismo aziendale. A peggiorare la situazione si è persa la soddisfazione per aver fatto fatica, ma di aver ben operato per raggiungere un risultato non semplice, oggettivamente dimostrabile.
In tutte le organizzazioni, viste le oggettive condizioni di mercato, si richiede da un lato di fare di più, in tempi minori e con minori risorse. Un obiettivo di per sé già non facile che presto vira in mission impossible se non sono chiari obiettivi, ruoli, direzioni, metodi e misurazioni e, ovviamente (ma dai) la loro messa in pratica.
Un futuro senza speranza? No, tranquilli (anzi c’è da sbrigarsi). Dipende da noi, da tutti noi, invertire la tendenza e operare affinché la cultura del fare, e del fare bene in tutte le sue sfaccettature e componenti, possa nuovamente emergere e affermarsi in modo che i nani rimangano nani e i giganti siano veri giganti.