L’AI sta diventando una leva straordinaria per lo sviluppo di nuove soluzioni IoT basate su big data e analytics. Ma per coglierne i frutti devono essere messe a fattore comune competenze e capacità diversificate: ingegneristiche, di processo e di data analysis. Intervista a Loren Shure, Consulting Application Engineer di MathWorks.
Nell’ambito scientifico e ingegneristico MathWorks è diventato l’alleato naturale per tutti coloro che nel mondo hanno necessità di utilizzare soluzioni per la modellazione matematica e la simulazione. In questo scenario le soluzioni MathWorks sono rappresentate dai due fondamenti tecnologici che la società ha sviluppato nel corso del tempo ovvero MATLAB e Simulink. Una realtà, quella di MathWorks, che vanta più di 4 mila dipendenti a livello globale, con un core business, storicamente rappresentato dal mercato automotive e aerospace, che sta oggi rapidamente estendendosi a tutti quei settori interessati a introdurre un nuovo livello di automazione grazie all’implementazione di logiche di intelligenza artificiale – quali machine e deep learning – in uno scenario di big data analytics. Ne abbiamo parlato con Loren Shure, Consulting Application Engineer di MathWorks intervenuta nel corso dell’ultimo MATLAB Expo Italia.
Quale valore può essere attribuito all’intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale (AI) si afferma sempre più come tecnologia trasformazionale e rappresenta una leva formidabile per la realizzazione di soluzioni avanzate che fanno riferimento a prodotti o sistemi connessi. Tuttavia, siamo di fronte a un qualcosa di inedito sul quale si deve essere capaci di acquisire una governance di progetto che implica l’integrazione di domini di conoscenza diversi. Intelligenza artificiale significa inoltre acquisizione di una sempre maggiore autonomia funzionale poiché la conoscenza di un certo fenomeno può mettere in moto delle reazioni prestabilite e non solo dare un supporto decisionale. In ambito industriale l’intelligenza artificiale permette, per esempio, di realizzare soluzioni di manutenzione predittiva, creando la possibilità di fare interventi manutentivi nel momento più opportuno così da creare il minor disservizio possibile, assicurando la massima continuità operativa e una percentuale di fermo macchina tendenzialmente prossima allo zero. Vale la massima “prevenire è meglio di curare”.
Siamo di fronte a un qualcosa di inedito sul quale si deve essere capaci di acquisire una governance di progetto che implica l’integrazione di domini di conoscenza diversi.
Quali peculiarità vengono introdotte con l’AI nei modelli matematici?
Il percorso dell’intelligenza artificiale è iniziato a partire da coloro che sviluppavano modelli matematici per replicare il modo in cui funziona il nostro cervello. Non a caso nel deep learning si utilizzano reti neurali. In generale oggi l’AI è utilizzata per creare modelli che possano descrivere cosa succede nel mondo reale. Una differenza sostanziale rispetto a un modello matematico classico dove si applicano equazioni che servono a rappresentare una condizione presunta. L’AI entra in gioco nel momento in cui il modello deve prevedere la flessibilità necessaria per riuscire ad adattarsi al contesto di riferimento acquisendo una conoscenza originariamente non disponibile che deriva dall’esperienza reale. Di fatto l’AI viene applicata in tutti quei contesti dove non si può utilizzare la fisica per comprendere i fenomeni che accadono.
Ciò significa che occorre mettere in campo competenze che vanno oltre l’ordinario?
Un buon numero di progetti falliscono perché le persone non capiscono abbastanza il contesto informativo. A volte ci si lamenta perché i dati a disposizione sono troppi o troppo pochi. La questione di fondo è sapere individuare quali sono i dati corretti da cui è possibile estrapolare informazioni che possono consentire di acquisire una conoscenza per supportare decisioni strategiche. Significa poter contare su persone in grado di porre le domande giuste per avere risposte coerenti con l’obiettivo prefissato. Molte aziende hanno portato al proprio interno gruppi di data scientist poiché ritenevano essenziale disporre di capacità e abilità nella parte di modellazione dei dati. Si sono poi però rese conto che quelle capacità non potevano da sole rispondere alle nuove sfide ma dovevano essere sinergiche all’esperienza di processo e alle capacità ingegneristiche presenti in azienda. Insomma, è il gioco di squadra che può fare la differenza. Certo, l’esito positivo di questi progetti dipende poi dall’avere a disposizione i tool di sviluppo coerenti con gli obiettivi applicativi. Valgono infine considerazioni di business ovvero riuscire a capire quanto il prodotto è adatto al mercato.
Un modello AI deve prevedere la flessibilità necessaria per adattarsi al contesto di riferimento acquisendo una conoscenza originariamente non disponibile che deriva dall’esperienza reale.
È possibile fare qualche esempio?
Un’azienda lattiero-casearia voleva utilizzare tecniche di intelligenza artificiale per analizzare i processi produttivi, creare efficienza di processo e migliorare la qualità del prodotto. Si è quindi iniziato a mettere a fattore comune dati provenienti da impianti produttivi diversi per poi accorgersi che l’enorme quantità di dati raccolti non evidenziavano un’informazione coerente con le aspettative. Il modello cui si faceva riferimento era troppo generico. Sia da un punto di vista dello storico analizzato sia da un punto di vista dell’oggetto dell’indagine che prendeva in considerazione linee di produzione che presentavano proprie specificità. Si è quindi deciso di restringere l’indagine a ciascuna singola realtà produttiva limitando l’orizzonte temporale a un solo anno, analizzando una quantità di dati più limitata e specifica rispetto a quanto preventivato originariamente. Solo in questo modo si sono riusciti a ottenere informazioni utili e coerenti con gli obiettivi del progetto. Si era creata la consapevolezza che il modello di intelligenza artificiale doveva essere predisposto avvalendosi di una pluralità di competenze e conoscenze, che risiedevano all’interno dell’ambiente di produzione e che dovevano trovare una interpretazione a livello di modellazione matematica. Domini di conoscenza diversi dovevano necessariamente essere integrati e condivisi.
L’interazione tra modello fisico e contesto di riferimento è di massima importanza poiché si deve avere la capacità di intervenire in conseguenza delle informazioni che si è in grado di acquisire dallo spazio in cui il prodotto/soluzione opera
Quali sono i consigli che si sente di dare agli sviluppatori software?
Una cosa che si deve imparare è che non si deve reinventare la ruota. La metafora invita tutti coloro che sono coinvolti nello sviluppo di codice a individuare innanzitutto quali sono le librerie software di base – già disponibili e ampiamente provate nel settore o ambito di riferimento applicativo – focalizzando il proprio impegno nello sviluppo di componenti dedicate. Progetti che utilizzano tool open source incontrano difficoltà ad essere pienamente realizzati perché non riescono ad essere integrati nel modo corretto nel workflow tipicamente associato a un determinato processo manifatturiero o industriale. Noi lasciamo liberi di utilizzare gli strumenti preferiti ma diamo possibilità di integrare il tutto in un framework coerente e completo. Altro punto di attenzione è la simulazione. Quando si tratta di produzioni ingegneristiche avvalersi sempre di tool di simulazione che possano offrire una costante verifica delle implementazioni effettuate. In questo modo una startup è riuscita a mettere a punto un progetto di un veicolo autonomo pensato per essere utilizzato all’interno di una struttura residenziale per anziani in soli tre mesi.
Come influisce il rapporto con il contesto applicativo?
Interazione tra modello fisico e contesto di riferimento è di massima importanza poiché si deve avere la capacità di intervenire in conseguenza dei cambiamenti o delle informazioni supplementari che si è in grado di acquisire dallo spazio in cui il prodotto/soluzione opera. Un esempio in ambito ospedaliero dove è stata messa a punto una soluzione che permettesse di avere informazioni dettagliate sullo stato del paziente, consentendo al personale di intervenire in caso di criticità. Al letto dei pazienti erano stati installati una serie di sensori in grado di monitorare le più diverse funzioni vegetative – frequenza cardiaca, ritmo della respirazione, movimenti del corpo. In questo modo il paziente poteva essere soccorso o aiutato nelle situazioni più a rischio.