Un’azienda nata con un obiettivo molto chiaro: essere primi in Europa e leader nel mondo nella fornitura di componenti e sistemi nel proprio mercato di riferimento, in diversi ambiti, dalla logistica, all’ingegneria e assistenza. Lo ha saputo fare con lungimiranza, facendosi trovare pronta a cavalcare il cambiamento.
Il Gruppo BIBUS, oggi ben conosciuto nell’industria europea, è stato fondato nel 1947 dalla famiglia BIBUS che oggi è alla terza generazione di gestione dell’azienda. Fino agli anni agli ’80 il gruppo copriva prevalentemente il territorio elvetico, poi a partire dagli anni ’90 ha cominciato ad ampliare il proprio business in diversi paesi esteri, iniziando dalla repubblica ceca, estendendosi poi gradualmente verso tutto l’Est Europa. Oggi conta 51 sedi in 29 paesi, asiatici ed europei.
Attualmente le attività principali dell’azienda sono nei settori della pneumatica, idraulica, meccatronica e tecnologia ambientale, offrendo supporto e consulenza nell’ambito dell’ingegneria, logistica e assistenza clienti. La società si compone essenzialmente di due macro divisioni: quella del Metallo che si occupa fondamentalmente di trading di metalli e leghi speciali, mentre l’altra divisione, BIBUS Technology, di cui fa parte BIBUS Italia, si occupa di integrazione di sistema in ambito oleodinamico, elettronico e meccatronico.
BIBUS Italia, con sede in provincia di Bologna, nasce come start-up nel 2013, con l’obiettivo di focalizzarsi su esigenze molto specifiche del mercato italiano, proponendosi come System Integrator – e non semplicemente come distributore – principalmente ma non esclusivamente nel settore oleodinamico. “Quando siamo partiti, abbiamo cercato di individuare i principali bisogni dei nostri clienti, andando a intercettare la domanda di mercato e da lì abbiamo costruito la nostra offerta, per poi declinarla in modo specifico in base ai contesti.
Giuseppe Lodi, Managing Director di BIBUS Italia
Quindi non abbiamo scelto a priori le rappresentanze andandole a proporre ai clienti, ma in realtà abbiamo seguito il procedimento opposto: sulla base dei loro feedback abbiamo individuato le soluzioni più adeguate”, ha spiegato Giuseppe Lodi, Managing Director di BIBUS Italia.
L’approccio di BIBUS Italia si è rivelato vincente da subito, dal momento che dall’analisi condotta dalla società sul mercato italiano è emerso che la maggior parte delle aziende in target, prevalentemente costruttori di macchine e impianti industriali, avevano meno bisogno di componenti fisici, ma tantissimo di consulenza e servizi, soprattutto di supporto nella gestione della fornitura.
Tradizionalmente le industrie manifatturiere in questo settore sono sempre state abituate a relazionarsi con i costruttori di componenti in modo diretto, sia per la convinzione che questo consentisse un maggior controllo e conferisse un maggiore prestigio all’azienda stessa, sia perché si riteneva che passare attraverso l’intermediario e la rappresentanza implicasse solo un aggravio di costi, senza valore aggiunto, non considerando però tutti quei costi nascosti generati dalla gestione dell’intera supply chain. Inoltre, tipicamente, le grandi aziende di componentistica lavorano seguendo processi di produzione secondo una logica “Kaizen” e adottando il modello “Lean Manufacturing”, con pianificazioni a lungo termine e forecast corposi. Di contro, le piccole e medie aziende produttrici di macchinari – che rappresentano la maggior parte delle realtà nel mercato italiano – non sono in grado di organizzarsi secondo questo approccio e questa metodologia, ma hanno bisogno di massima flessibilità e velocità, dal momento che le loro commesse si basano su richieste molto specifiche e con tempi di consegna estremamente rapidi. Quindi se da una parte si trovano a gestire una moltitudine di specificità, dall’altra sono costretti a pianificare la componentistica con i loro fornitori con grande rigidità, con un immane aggravio di costi come conseguenza: infatti se ad un’azienda viene richiesto un macchinario in una tempistica di 30-40 giorni, questa, dal canto suo, non sarà in grado di ricevere i componenti necessari prima di un mese, e quindi si troverà costretta a investire preventivamente in magazzino, dovrà perciò disporre di molta liquidità, oltre a dover immobilizzare merce con la speranza di ricevere altre commesse analoghe. A questo si aggiunge che, a fronte di richieste molto peculiari e diversificate dei committenti, le aziende produttrici devono affrontare ingenti investimenti in forza lavoro, per esempio ingegneri con competenze specifiche e personale tecnico specializzato. Tutto questo, in un rapporto diretto con i fornitori direzionali, implica una catena di fornitura decisamente onerosa.
Ed è qui che entra in gioco una realtà come BIBUS Italia che, attraverso i suoi servizi di consulenza e supporto nel co-engineering, sviluppo, progettazione, produzione, collaudo e tutte le diverse attività di aftermarket, è in grado di affiancare il cliente lungo l’intera supply chain.
“In effetti, ciò che abbiamo fatto, è stato parlare con le aziende ponendogli domande molto dirette, ovvero ‘se voi poteste avvalervi di una società che vi dovesse supportare in fase di progettazione e sviluppo, nell’individuazione di nuove tecnologie, potrebbe essere utile?’ Seconda domanda: ‘se questa stessa società vi facesse da magazzino, garantendovi pezzi entro una settimana, sarebbe un plus?’ Terzo: ‘Se voi aveste bisogno di tecnici che si occupassero delle installazioni, collaudi e in generale vi facessero da supporto su servizi di aftersales, sarebbe per voi un vantaggio? Ovviamente la risposta è stata positiva. Ecco, il nostro obiettivo era appunto che i clienti potessero percepire BIBUS non come un semplice rivenditore, ma bensì come un partner in affiancamento costante. Di fatto, quando siamo partiti, ci siamo ispirati al modello dei grandi dealer negli Stati Uniti, dove il business della distribuzione è sempre stato molto più avanti rispetto all’Europa. Adottando questo approccio siamo riusciti, così, a far superare ai nostri clienti lo scetticismo circa la figura dell’ ‘intermediario’ percepita come un aggravio di costi, apprezzandone invece il valore aggiunto, sia in termini di efficienza delle modalità operative, sia in termini di contenimento dei costi nascosti” continua Lodi.
Seguendo questo percorso, oggi dopo nove anni di attività, BIBUS continua a registrare una crescita costante significativa che ha portato la società, partendo da zero nel 2013, a un fatturato di 14 milioni, con l’impegno di offrire al cliente esattamente ciò di cui aveva bisogno, adottando la filosofia della “centralità del cliente”, oggi estremamente attuale ma che nel 2013 non era così scontata.
Il ruolo della digitalizzazione
La trasformazione digitale per BIBUS Italia è stato un percorso a 360 gradi avviato contestualmente alla nascita dell’azienda stessa e declinato nei vari ambiti e con diverse modalità, a partire innanzitutto dalla gestione del rapporto con i clienti. La società, infatti, sin dal principio, ha creato, un’infrastruttura che rendesse il rapporto e il contatto quotidiano con loro più rapido e snello, attraverso piattaforme di condivisione e interazione, durante tutto il percorso di co-engineering, di monitoraggio dei flussi di lavoro, delle richieste da parte del cliente e scambio dati da remoto, nonché la gestione preventiva di quelle che vengono considerate le criticità tipiche sul campo. Dal prossimo gennaio, inoltre, verrà implementata una nuova infrastruttura collaborativa che consentirà ai clienti di interagire con BIBUS non solo sul fronte del ciclo attivo ma anche su ciclo passivo, quindi gestione ordini, offerte, quotazione, revisioni, etc.
Discorso analogo per quanto concerne tutte le attività commerciali e di marketing, a supporto delle quali già da diversi anni la società bolognese ha adottato le diverse piattaforme digitali e social, costruendo una comunicazione più immediata, interattiva e personalizzata in base ai diversi interlocutori.
Non solo, BIBUS si è fatto promotore di una cultura digitale e di innovazione anche all’interno delle organizzazioni dei propri clienti, sia per la gestione operativa della loro azienda, promuovendo l’introduzione di tecnologie sempre all’avanguardia, ma anche spingendo ad adottare strategie e modelli di business più in linea con i trend di mercato attuali.
“ Per fare un esempio” continua il Managing Director di BIBUS Italia “spesso tra i nostri clienti abbiamo produttori di macchine semoventi, macchine agricole e per movimento terra: in questa tipologia di aziende stiamo promuovendo in particolar modo l’elettrificazione delle macchine e dei veicoli, con l’obiettivo di renderli più efficienti, più sostenibili e a basso consumo: questo per noi rientra perfettamente in un processo di digitalizzazione e innovazione a 360 gradi, affiancando quindi le aziende anche in uno sviluppo di prodotti più ‘green’. Proprio in quest’ottica, per esempio, già nel lontano 2014 abbiamo stretto la prima collaborazione con dei produttori di componenti elettrici per la trazione, società legate al gruppo Danfoss, nostro principale partner, e nel 2015 abbiamo avviato i primi progetti per sostituire la propulsione a combustione con quella elettrica o ibrida”.
Una trasformazione digitale a tutto tondo, dunque, che ha consentito a BIBUS di non farsi trovare impreparata con l’avvento dell’ era Covid. La società, infatti, da sempre ha spinto e incoraggiato il lavoro da remoto, dotandosi di piattaforme informatiche che consentissero questo, ma soprattutto adottando un modello di gestione aziendale fortemente orientato agli obiettivi e alle definizione chiara dei KPI dei collaboratori, e non tanto al controllo costante sul posto. Questo è stato possibile perché BIBUS si è sempre focalizzata sulle capacità e le competenze delle persone, a prescindere dalla loro collocazione geografica, e ciò ha fatto sì che si creassero team di lavoro dislocati su tutto il territorio italiano, senza dover necessariamente aprire filiali ovunque, impostando quindi fin dal principio una modalità operativa anche a distanza, e questo molto prima del Covid.
Una cultura del lavoro e una mentalità per certi aspetti pioneristica in Italia dieci anni fa, che ha, però, consentito all’azienda di affrontare i disagi della pandemia senza eccessivi traumi, sebbene non a cuor leggero.
Uno sguardo oltre la pandemia
“Oggi però, stiamo cercando di invertire un po’ la rotta, nel senso che adesso stiamo spingendo e invogliando le persone a tornare più spesso in sede, perché è comunque importante che loro non lavorino sempre in un contesto isolato, è fondamentale invece che mantengano anche una socialità che li renda partecipi del contesto e dello spirito aziendale. Dopo questi due anni di Covid, dobbiamo ripartire con la cultura del dialogo, per evitare l’effetto “grotta”, perché questo è il pericolo dello smart working a tempo pieno. Bisogna evitare forme di isolamento con un inevitabile rischio di disgregazione. Adesso, pur mantenendo la modalità home-office, vogliamo che le persone si ‘riconnettano’ tra loro, e abbiano occasioni di confronto e scambio ‘dal vivo’” ha commentato ancora Giuseppe Lodi.
E’ fuori dubbio che la pandemia abbia generato grandi sconvolgimenti nel mondo del lavoro e, ancor più, sull’economia e sull’industria: la supply chain ne ha risentito pesantemente, con la difficoltà del reperimento delle merci, la gestione delle consegne, etc., di contro ha dato spazio a nuove opportunità, per esempio, sta spingendo molte aziende a riportare in Italia e in Europa una grande parte della catena di fornitura, dopo anni di delocalizzazione e off-shoring.
L’era Covid ha quindi portato a rivedere certi modelli, a fare certe riflessioni e a generare profondi cambiamenti. BIBUS vede di fronte a sé sfide piuttosto complesse, ma forse anche più gratificanti – lo sviluppo sostenibile è un esempio -. Per questo il suo obiettivo è quello di consolidare un modello organizzativo e di business basato sulla flessibilità, sulla capacità di adattamento, sulla predisposizione a cavalcare i cambiamenti senza preclusioni, ad accogliere con entusiasmo le innovazioni, e questo sia al proprio interno sia verso i clienti, soprattutto quelli più tradizionalisti e meno resilienti.
di Maria Lanzetta