Sviluppare nuove competenze e potenziare quelle esistenti, lavorando su hard e soft skills delle persone, non è più un’opzione per le aziende, piccole o grandi che siano, ma rappresenta un elemento indispensabile per migliorare la produttiva e la competitività aziendale. Si tratta solo di definire la metodologia più appropriata e saperla applicare con successo
Che il capitale umano sia una delle risorse più preziose di un’impresa è ormai un concetto acquisito – almeno si spera – dalla maggior parte dei manager e degli imprenditori. Saperlo potenziare e arricchire nel modo più adeguato si traduce in un investimento ad alto tasso di rendimento. Le persone vanno valorizzate non soltanto sul piano individuale, ma anche su quello collettivo, con lo scopo di favorire l’evoluzione dei talenti e la crescita del business.
Fare formazione in azienda significa, quindi, da una parte lavorare sulla personalità del singolo soggetto con le sue peculiarità e valorizzarne il potenziale, dall’altra sviluppare un vero clima di collaborazione e di “gioco di squadra”, facendo leva anche e soprattutto sui valori dell’impresa, per costruire un progetto imprenditoriale del quale tutti si sentano effettivamente artefici.
Gli effetti positivi della formazione
Fare formazione, dunque, ha solo risvolti positivi per un’organizzazione; allocare un budget dedicato nel business plan aziendale è doveroso: pensare che sia una voce di spesa di cui è possibile fare a meno, rappresenterebbe un grande errore e un chiaro sintomo di miopia da parte del management.
Migliorare le competenze delle persone e dei team vuol dire, nel concreto, accrescerne la produttività, con effetti positivi anche sulla comprensione degli obiettivi aziendali da parte dei dipendenti, ai quali vengono forniti i giusti strumenti per una corretta visione d’insieme. Questo si traduce, evidentemente, in un potenziamento dell’impresa in termini di redditività e competitività, potendo contare su una crescente professionalità e una maggiore spinta motivazionale da parte di tutto il personale. I due ingredienti di base per imparare, anche culturalmente, a vivere del cambiamento.
Un altro importante beneficio, che deriva da un percorso di formazione costante e progressivo dei collaboratori, è una maggiore fidelizzazione verso la propria organizzazione e, di conseguenza, una diminuzione del turnover aziendale. Infatti, l’aumento delle proprie competenze e il miglioramento delle performance che ne deriva, genera un più alto livello di engagement da parte dei dipendenti e anche una capacità di visione con una prospettiva più estesa, da cui una maggiore volontà a rimanere nella propria azienda e un deterrente a lasciarla per intraprendere un’altra strada con tutte le nuove incognite del caso. Questo per un’impresa rappresenta un indubbio vantaggio economico e strategico, considerando quanto ogni dimissione possa essere dannosa in termini di costi e di tempi necessari per la messa a regime di una nuova risorsa.
Come intraprendere un percorso formativo di successo nell’era del “New Normal”
In questo periodo si è spesso sentito parlare di questo nuovo paradigma, il “New Normal”, ovvero una diversa modalità di operare, nata innanzitutto come conseguenza del fenomeno pandemico che ci ha portato a rivedere le tradizionali modalità di lavoro, ma anche come una naturale e fisiologica evoluzione delle nostre abitudini a fronte di un contesto sociale, ambientale ed economico in costante trasformazione. Bene, alla luce di questo, anche il modo con cui costruire un percorso formativo all’interno di un’azienda deve tenere conto di questi cambiamenti, adattando un approccio più flessibile e diversificato, che sfrutti in modo virtuoso le diverse tecnologie che un mondo sempre più “connesso” ci mette a disposizione. Si tratta, quindi, di trovare il giusto equilibrio e il mix ottimale tra le principali modalità di formazione.
La tradizionale formazione in aula permette di avere un confronto diretto con il docente e con il resto del gruppo, ma è fondamentale che si svolga in modo interattivo, con il diretto coinvolgimento e contributo dei discenti, utilizzando strumenti quali “gioco di ruoli”, analisi di casi concreti, simulazioni aziendali, condivisione di best practice e attività in piccoli gruppi all’interno di workshop o masterclass, nonché utilizzo di videofilmati specifici che stimolino la discussione e il confronto. La formazione on-line, cui sì è fatto tanto ricorso durante il lockdown – anche con l’obiettivo di sfruttare un periodo di “inattività forzata” – offre indubbiamente il grande vantaggio di essere più fruibile, svincolata da problematiche di tipo logistico, una volta garantita la qualità della connessione – che non è un dettaglio – con il grande beneficio di contenere i costi e ottimizzare i tempi. Indubbiamente presenta il limite di creare meno empatia tra il docente e gli allievi, e tra gli allievi stessi: per quanto un’efficiente aula virtuale consenta lavoro di gruppo, role play e sharing, esiste il rischio oggettivo che tante ore davanti a uno schermo facciano calare l’attenzione e la concentrazione. Le due modalità, poi, devono essere ben combinate e integrate con un percorso di formazione sul campo (FSC), che permette di ottenere risultati tangibili lungo l’intero iter formativo. Si tratta di momenti esperienziali e di “messa in pratica”, in cui è possibile “testare” sin da subito le proprie capacità e le proprie attitudini, individuando con l’aiuto del docente le aree di miglioramento sia su stessi, sia nell’ambito lavorativo in cui il singolo individuo opera. Passando, dunque, “dalla teoria alla pratica”, la formazione sul campo ha l’obiettivo di “prototipare”, e successivamente convalidare, una metodologia di lavoro che verrà poi applicata e adottata nel contesto aziendale reale.
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Obiettivi chiari e percorso guidato
È chiaro che un percorso di formazione in azienda necessiti di essere costruito, partendo da un’accurata pianificazione che parte dagli obiettivi aziendali e dall’individuazione delle esigenze formative e professionali dei diversi collaboratori in base alla posizione che occupano ed al loro processo di crescita funzionale ai cambiamenti aziendali. Esso deve, pertanto, essere funzionale a un piano di crescita personale e aziendale ma, soprattutto, deve riuscire a evidenziare i primi risultati nel breve e medio termine, per quanto, operando non solo sulle hard skills ma anche sulle soft skills individuali, il ritorno complessivo richieda tempi proporzionali alle caratteristiche delle singole persone. Ecco perché è importante fissare degli obiettivi misurabili, imparare a calcolare il ROI della formazione, basandosi su precisi indicatori, quali la risposta dei dipendenti, il feedback dei manager, la misurazione delle performance dopo l’attività formativa e comparandola al periodo precedente: solo in questo modo si può comprendere se la formazione abbia avuto un impatto tangibile e positivo sulle attività aziendali.
Un percorso formativo a valore aggiunto, evidentemente, richiede competenze specifiche e approfondite e certo non può essere lasciata all’improvvisazione e all’iniziativa dei singoli, ma deve essere, necessariamente, appannaggio di aziende esterna di provata competenza in grado di affiancare con l’adeguata professionalità (orientamento al risultato) le singole aziende, dal momento in cui decide di intraprendere un progetto di formazione.
Questo, affinché risulti efficace e raggiunga gli obiettivi prefissati, ha bisogno di essere studiato e strutturato, dopo aver analizzato il DNA dell’azienda, compreso le sue peculiarità e identificato i punti di forza e debolezza: si sa che ogni organizzazione è un ecosistema a sé stante; le imprese possono somigliarsi, ma non sono uguali, ciascuna ha le proprie specificità, perché le persone che le costituiscono sono diverse.
La formazione aziendale per essere efficace deve essere personalizzata con percorsi, contenuti e modalità diverse da azienda ad azienda. Con queste premesse, va da sé che il ruolo dei docenti faccia la vera differenza, il quale, oltre alle competenze e alla preparazione per svolgere questa funzione, è fondamentale che abbia alle spalle un’esperienza manageriale diretta all’interno di un contesto aziendale, che lo aiuterà a comprendere meglio i propri allievi e a riconoscerne il potenziale. Il docente, quindi, a seconda della fase del percorso formativo, deve poter svolgere sia il ruolo di formatore, attingendo alle proprie competenze e trasferendo il proprio know-how, sia di coach, affiancando gli allievi nella formazione pratica sul campo, facendo leva sulle soft skills e le competenze trasversali di ciascuno, attraverso le quali si andranno a rafforzare anche le hard skills già consolidate.
Nell’era della Big Resignation, le aziende in grado di mettere a disposizione dei propri collaboratori un adeguato percorso formativo, si garantiscono una solida retention delle risorse umane, una maggiore produttività e quindi una crescita esponenziale dei profitti.
Attenzione, non terminare i percorsi ha come unico risultato la perdita di buona parte dei benefici ma, soprattutto, la delusione delle risorse umane oggetto dell’intervento che, ancora una volta non hanno visto attuare lo sperato cambiamento.
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Grazie alla legge di Bilancio 2021B(1. n. 178/2020 art. 1 c.1064 lettera I) è possibile beneficiare del credito di imposta per la formazione 4.0 delle aziende, al fine di creare valore in tutti i processi e le fasi lavorative.
di Maria Lanzetta