Il digitale diventa il vero contenitore dello Smart Working. Tuttavia, al di là degli abilitatori tecnologici l’attenzione deve essere posta sul cambiamento della cultura aziendale che presuppone modelli relazionali e di comunicazione fondati sulla collaborazione attiva di management e dipendenti e… sull’adozione di un metodo.
In e out, dentro e fuori, in presenza e a distanza. Se avete pensato che lo Smart Working fosse solo una parentesi dettata dall’emergenza vi siete sbagliati. Smart Working è la modalità di lavoro con cui ci confronteremo da qui ai prossimi anni. Il lavoro, per usare la metafora del sociologo Zygmunt Bauman, assume una forma liquida. Una contraddizione in termini? Una sostanza liquida non può avere forma a meno che non abbia un suo contenitore. Una riflessione, quest’ultima, che è corretta solo se ragioniamo in una modalità convenzionale. Ma in questo nuovo scenario esiste ed emerge un contenitore che cambia definitivamente le regole del gioco. Quale? Il digitale, uno spazio fluido che si adatta dinamicamente alle istanze di lavoro liquido – in e out – del nuovo decennio post-covid. Come gestire questo spazio? Eliminando le rigidità che costituivano i principi fondanti del lavoro in presenza. Il che vuol dire che da una parte servirà agire sul fronte della tutela dei diritti del lavoro, prevedendo una nuova legislazione che superi e migliori la legge sul lavoro agile introdotta nel 2017, e dall’altra mettere in discussione la cultura aziendale legata all’organizzazione del lavoro.
Occorre però fare dei distinguo in modo che sia chiaro cosa si intende per Smart Working. La prima e più importante considerazione? Capire che Smart Working non è telelavoro. Le due forme si differenziano infatti soprattutto in termini di flessibilità e autonomia. Nello Smart Working, luoghi e orari di lavoro sono scelti liberamente dal lavoratore. Le regole imposte al Telelavoro sono invece abbastanza rigide: orari, luoghi e strumenti tecnologici sono prestabiliti e rispecchiano lo stesso assetto organizzativo utilizzato nel luogo di lavoro.
Nelle grandi imprese, la diffusione dello Smart Working, sta già procedendo a passi spediti, accelerando quello che erano state le prime esperienze in era pre-covid. E un punto fondamentale per incentivare ulteriormente la diffusione è lo sviluppo di un adeguata volontà del vertice: ciò può avvenire se si riesce a legare gli obiettivi del progetto di Smart Working con quelli del business, dando sempre più visibilità ai benefici ottenuti e ottenibili.
Per le imprese la sfida dei prossimi anni sarà quella di far superare allo Smart Working lo status di “progetto” o iniziativa specifica, per rendere questo approccio il nuovo modo di lavorare, introducendo nuovi e più profondi sistemi di engagement.
Fare Smart Working vuol dire essenzialmente ripensare l’organizzazione del lavoro in un’ottica sempre più orientata ai risultati cioè basata sui risultati ma non sul presenzialismo. Cambiare assetto e cultura organizzativa non è ovviamente semplice nelle aziende più mature e strutturate, tanto più nelle PMI. Per adottare un progetto di Smart Working propriamente detto è quindi necessario sfruttare alcune specifiche leve:
- rendere più flessibili gli spazi e gli orari di lavoro;
- sviluppare nuovi strumenti e competenze digitali;
- dotarsi della tecnologia adeguata per lavorare da remoto;
- adottare un metodo a supporto della comunicazione/pianificazione efficace;
- diffondere modelli operativi basati su autonomia e responsabilità ed orientamento ai risultati.
Lavorando su queste leve, sarà possibile godere a pieno dei benefici propri dello Smart Working. Vantaggi più che tangibili, misurabili in termini di miglioramento della produttività e riduzione dell’assenteismo, ma anche di benessere del lavoratore. Assieme a tutti questi elementi, è poi fondamentale il monitoraggio del progetto, specie in fase di sperimentazione, così da poter affinare il progetto ed attuare interventi migliorativi.
Ad oggi – secondo le rilevazioni di Osservatorio.Net, la quasi la totalità delle organizzazioni con un progetto strutturato di Smart Working monitora almeno 5 aspetti:
- il livello di partecipazione all’iniziativa in termini di giornate fruite e di persone coinvolte;
- la soddisfazione delle persone rispetto all’iniziativa;
- gli impatti sul coordinamento con il capo, i colleghi e i clienti interni;
- le criticità collegate all’utilizzo della tecnologia;
- le caratteristiche degli Smart Worker.
In un numero crescente di organizzazioni la misurazione di questi aspetti sta diventando sempre più strutturata e quantitativa. Cresce infatti il numero di realtà in cui in alternativa ai momenti di incontri per valutare l’andamento del progetto, vengono effettuati o questionari di gradimento o analisi sui dati della direzione HR per una verifica più puntuale. E nel futuro? Il trend vede le grandi aziende italiane valutare l’impatto dello Smart Working basandosi su aspetti sempre più qualitativi:
- KPI riferiti alle persone (tasso di assenteismo, il livello di straordinari, gli infortuni o giorni di malattia);
- business KPI e processi organizzativi;
- indicatori ambientali di interesse per il bilancio di sostenibilità;
- qualità del lavoro.
Ancora una volta … nessun risultato senza preparazione, perché questa nuova (imposta ma forse già embedded nell’era digitale) modalità operativa dia buoni risultati in ottica win-win (azienda/lavoratore) è necessario lavorarci, comprendere e migliorare in modalità sistematica e con modelli e metodi di riferimento.