Mario Draghi nel discorso programmatico d’insediamento al Parlamento ha indicato gli obiettivi strategici fondamentali da raggiungere nei prossimi anni, soprattutto quelli legati all’attuazione del Recovery fund. In particolare, si è domandato se si sia fatto per i giovani tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura.
Draghi, al Meeting di Rimini, aveva già affermato che sarebbe stato inevitabile aumentare il debito e che questo sarebbe rimasto elevato nel lungo periodo.
Fondatore e General Manager di Pentaconsulting
Un debito sostenibile solo se continuerà a essere sottoscritto in futuro, per cui solo se utilizzato a fini produttivi: investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca, nella cultura d’azienda e nelle modalità operative, etc. Quindi se è “debito buono”.
Una indicazione che non sembra essere stata bene appresa da tutti. Si continuano a proporre richieste di intervento tipiche di un sistema a capacità infinita in cui i diversi governi hanno via via investito in azioni con più immediato ritorno politico, a discapito di investimenti lungimiranti anche se a basso consenso immediato. Di pari passo si è mosso un certo tessuto industriale (non tutte le aziende) che, spesso, ha solo cercato il profitto per il profitto, oltretutto delocalizzando ed impoverendo a dismisura know how e forza lavoro in Italia e incrementando la nostra dipendenza dall’estero. A tal proposito, Suez -Evergreen ci hanno dato un messaggio forte e chiaro e prima ancora mascherine e camici e non ultimo la produzione dei vaccini.
Anche l’integrazione pubblico privato nella ricerca e nell’istruzione ha mostrato tutti i suoi limiti non solo per la burocratizzazione ma anche per opposti interessi proprio laddove una convergenza sarebbe stata necessaria.
Che dire, la pandemia ha messo a nudo una situazione che comunque non avrebbe retto a lungo. Vediamo se i politici, gli imprenditori, noi tutti saremo in grado di: ripartire dai fondamentali, concentrarci su una visione di medio-lungo periodo, pensare ad un’economia che salvi persone e pianeta.
Non muoversi in questa direzione è un palese torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione indebita dei loro diritti.
Possiamo farcela solo se mettiamo in atto ciò che la pandemia e dintorni ci ha insegnato, andando a testa bassa verso la concretizzazione dei fiumi di parole spese perché il cambiamento diventi strutturale e faccia parte del DNA delle aziende e di noi tutti.