Ok, l’abbiamo capito, il deficit è l’unica arma che possiamo usare per affrontare l’emergenza ma nel frattempo, per dare ossigeno alla nostra economia, dobbiamo fa sì che le misure straordinarie intraprese dal nostro governo a sostegno di imprese e famiglie possano essere attuate in tempi rapidi. Serve liquidità e la velocità è tutto in questi momenti. Purtroppo la scarsa preparazione digitale della nostra Pubblica Amministrazione si sta invece rivelando un grosso ostacolo e un pericolo. Il codice digitale della nostra Amministrazione è ahimè compromesso da processi e iter burocratici troppo complessi, del tutto incongrui alle necessità del momento.
E’ sufficiente riportare quanto scritto oggi dal Corriere della Sera per comprendere il labirinto all’interno del quale ci troviamo costretti a operare. “Si è subito rivelato impossibile per milioni di lavoratori italiani ricevere, nei tempi annunciati dal governo, gli importi maturati per Cassa Integrazione. La Cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo) e il Fondo di integrazione salariale (Fis) sono gestiti direttamente dall’Inps; l’assegno ordinario dei Fondi di solidarietà bilaterale, invece, è gestito indirettamente dall’Inps per il tramite dei Fondi interessati. La Cassa integrazione guadagni in deroga (Cigd), infine, è gestita dalle Regioni e pagata dall’Inps. … La procedura per arrivare a far ottenere il pagamento al lavoratore non è così semplice e facile, così come viene fatto percepire”.
C’è poi una differenza procedurale che varia regione per regione. “Esistono 21 regolamentazioni diverse, sotto forma di Accordi, che recepiscono (e in molti casi derogano) i contenuti del decreto legge 18/2020. Ognuna ha tempi, procedure e modalità diverse: situazioni che complicano il cammino che porta alla liquidazione. Al 30 marzo solo in 5 regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia e Veneto) l’accordo è stato approvato ed è operativo. In 3 regioni (Campania, Marche, Molise) la procedura è entrata ieri in vigore o sta entrando in vigore in queste ore. In 9 regioni, invece, non è stata avviata, quindi non c’è la possibilità di presentare le istanze. In 4 territori (Abruzzo, Basilicata, Province autonome di Trento e Bolzano), infine, non risulta formalmente approvato alcun accordo”.
PIL 2020 a -6%, l’analisi di Confindustria
Per Confindustria lo shock congiunto di offerta e di domanda innescato dalla crisi si tradurrà in una riduzione del Pil del 6%, sempre che la fase acuta dell’emergenza termini a maggio Si tratta di un crollo superiore a quello del 2009. Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una percentuale ulteriore di Prodotto Interno Lordo dell’ordine di almeno lo 0,75%.
“Gli investimenti delle imprese sono la componente del PIL più colpita nel 2020 (-10,6%)”, si legge nel comunicato pubblicato da Confindustria, che prosegue: “Calo della domanda, aumento dell’incertezza, riduzione del credito, chiusure forzate dell’attività: in questo contesto è proibitivo per un’azienda realizzare nuovi progetti produttivi, visto che la stessa prosecuzione dell’attività corrente è compromessa o a forte rischio, come mostra la caduta della produzione industriale. Gli investimenti privati, perciò, crolleranno nella prima metà di quest’anno”.
L’export dell’Italia non viene risparmiato dal calo generale dell’attività economica (-5,1% nel 2020) Per il 2020 la contrazione si stima possa essere superiore alla media mondiale. “Il calo dell’attività sarà particolarmente forte nei principali mercati di destinazione dei prodotti italiani e i nostri esportatori saranno più penalizzati da difficoltà produttive e logistiche, l’export è atteso cadere più della media mondiale. Un blocco dell’attività più lungo e diffuso a livello internazionale potrebbe portare a un crollo del commercio mondiale comparabile a quello del 2009. E i concorrenti esteri potrebbero approfittare delle attuali difficoltà della manifattura italiana per sottrarre quote di mercato”.
Serve agilità operativa per garantire liquidità alle PMI
Come osserva Beniamino Pagliaro su Repubblica, la capacità di risollevare le sorti economiche dell’Italia appaiono più difficili che in altri Paesi. Per quanto ammaccati ne potranno uscire più rapidamente.”La Cina sostiene che il 98,6% della grandi imprese abbia già iniziato a produrre dopo la serrata. La cultura d’impresa negli Stati Uniti è flessibile, le aziende e i lavoratori sono abituati a chiudere e ripartire, cambiare carriera. In Italia siamo molto meno dinamici, le imprese sono incredibilmente piccole (il 95% ha meno di dieci dipendenti) e una crisi può significare la chiusura definitiva, principalmente per problemi di liquidità. Molti imprenditori potrebbero vedere salvi i salari dei dipendenti ma rimanere senza una prospettiva. Tito Boeri ha stimato che 3 miliardi di euro di garanzie dalle sole fondazioni bancarie garantirebbero investimenti per 120 miliardi. Ma è lo Stato che deve intervenire: ad aprile il governo punta a introdurre un nuovo decreto e dare garanzie fino a 300 miliardi per aiutare le imprese con un importo fino al 25% del fatturato del 2019. Il diavolo è nei dettagli: soprattutto per le piccole imprese la semplicità (e la velocità) del finanziamento è cruciale”.