Intervista ad Antonio Bicchi, presidente di I-Rim (Istituto di Robotica e Macchine Intelligenti), Professore dell’Università di Pisa e ricercatore dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Entro pochissimi anni la maggior parte delle imprese manifatturiere italiane utilizzerà robot di seconda generazione, sistemi avanzati in grado di automatizzare in maniera profonda l’attività industriale, consentendo a macchinari e dispositivi di prendere decisioni e compiere azioni in maniera autonoma, di auto-adattarsi ai cambiamenti della produzione o delle condizioni ambientali e di lavorare anche in situazioni di rischio. Una delle applicazioni più promettenti riguarda il controllo remoto delle macchine intelligenti. (by Pm)
«Il contributo all’innovazione che può offrire l’Italia è di straordinario livello basti pensare che siamo tra in primi Paesi al mondo per quantità di produzione scientifica e qualità nell’ambito della ricerca. Siamo ai vertici della classifica mondiale anche per quanto riguarda lo sviluppo di macchine intelligenti, ovvero quello macchine che hanno un’intelligenza artificiale che permette di tradurre la percezione del mondo reale in movimenti fisici coerenti all’ambiente in cui queste macchine devono operare. Il manufacturing lo sappiamo fare da sempre e non esiste oggi manufacturing che non abbia embedded una qualche intelligenza».
Fortissimi sviluppi si stanno inoltre evidenziando per riuscire ad avere interfaccce uomo-macchina sempre più friendly. Tutto questo – afferma Bicchi – contribuirà a una svolta epocale nelle modalità di interazione: una percentuale sempre più ampia di persone potrà avvalersi della robotica in contesti assolutamente diversificati senza dover avere particolari competenze. Si va verso quella che viene ormai connotata come la robotica personale.
Niente di più sbagliato credere che la digitalizzazione corrisponda a una perdita di centralità della componente umana. L’introduzione di robotica di nuova generazione, in larga misura riconducibile alla robotica collaborativa o cobotica, non corrisponde a un’ineluttabile supremazia della macchina sull’uomo.
In buona sostanza: l’uomo sarà sempre artefice dei cambiamenti, il vero protagonista della trasformazione grazie a conoscenze e competenze in termini di capacità cognitive e relazionali che non sono trasferibili ad alcuna macchina. La sfida si traduce nel governare un modello di cambiamento che tende a valorizzare le competenze più qualificanti in fabbrica così come in qualsiasi altro contesto dove si diffonderà l’utilizzo di macchine intelligenti
La maggiore automazione di fabbrica – anche con una quota sempre più rilevante di robotica – verrà quindi considerata con sempre maggiore attenzione poiché rimuove la componente di lavoro ripetitivo, di fatica così come quello maggiore rischio sicurezza, dando la possibilità ai singoli di dare un contributo più qualificante. Niente di più lontano da chi pensava in un futuro dark factory.